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Silvia

Si chiama Silvia, la sua voce ha bel un timbro profondo, da contralto. La sento fredda, però, distante, autoritaria, pare una di quelle donne che amano essere sempre assecondate, che non reagiscono a un diniego, ma se lo ricorderanno, se lo legano al dito,  lo annotano nel loro libro contabile e alla prima occasione pretenderanno la riscossione del credito. Non è il tipo di rapporto che prediligo, non mi piace il rancore covato, ho imparato che la macerazione provoca infezioni difficili da sconfiggere quando dilagano e contaminano anche le zone più protette e apparentemente inattaccabili. Ma voglio provare, forse i miei timori sono eccessivi. Partiamo assieme per un weekend al mare, in un paio di giorni non potranno accadere catastrofi e, se succederà l’irreparabile, ci separeremo e non ci vedremo più.
Il viaggio comincia subito con qualche tensione: pretende di indicarmi la strada. D’accordo, ci siamo appena conosciuti e non sa la mia storia – né io la sua – ma vado in Liguria sin da quando ero bambino e potrei fare il viaggio a occhi chiusi. Si fa per dire. Comunque, appena si accorge che non passo per Loreto, ma taglio nelle vie interne, dopo qualche insistenza si zittisce. Fa la sostenuta per un po’ quindi riprende a parlare nel giro di pochi minuti, questa volta approvando la direzione che ho preso. La cosa mi rasserena, meglio andare d’accordo, è una bella giornata di sole e non vedo perché una divergenza d’opinione sull’itinerario dovrebbe rovinarcela.
Finalmente usciamo dalla città. L’autostrada non sembra trafficata e presumo che arriveremo in tempo per pranzo.
Noto che Silvia è di nuovo tesa, eppure non dovrebbero esserci dubbi sulla direzione. Almeno fino al bivio per il raccordo con l’A10 la strada è tutta diritta, ma sento che c’è qualcosa che non va. Capisco. È la velocità. Lo so, il limite è 130 chilometri orari, ma non c’è nessuno davanti e questa macchina è così poco rumorosa che arriva a 150 senza che me ne accorga. Ma ha ragione, ci sono autovelox e tutor ovunque e ho già preso un paio di multe in città ultimamente per consigliarmi di ridurre la velocità.
Devo dire che Silvia inizia un po’ ad annoiarmi col suo tono spazientito da maestrina, avrà anche una bella voce, ma l’atteggiamento autoritario sta valicando i miei confini di tolleranza. Va bene che il regime dittatoriale per certi versi è riposante, deresponsabilizza, invita a delegare ogni decisione, presa di posizione e impegno al vertice, ma ancorché pigro come sono, non sopporto gli ordini, soprattutto se immotivati e distribuiti con autoritarismo, ma senza autorevolezza.
È un continuo “rallenta”, “stai attento”, “stai a destra”, “tieni la sinistra”, “c’è l’autovelox”. Insomma, guido da più di trent’anni, non sono ancora così bollito, lasciami in pace, le grido.
Finalmente tace. Mi spiace averla offesa, spero di non avere rovinato tutto.
All’improvviso, siamo sotto una di quelle lunghe gallerie che da Ovada in poi si contano a decine, mi intima di fare inversione a U “appena possibile”. Non credo alle mie orecchie. Ma quale inversione a U, le dico. Siamo in autostrada, non si può. Lei insiste, pretende l’inversione a U. Penso che voglia tornare a casa. Ha cambiato idea. Il weekend al mare col sottoscritto non è più nei suoi programmi. Già, ma ormai siamo arrivati, cara la mia Silvietta e, volente o nolente, starai con me per un paio di giorni, trascorsi i quali potrai fare quel che vuoi, anche spegnerti se ti va. Anzi, ti spengo subito io e ti ripongo nel cassetto del cruscotto.
Sarà meglio che legga più attentamente le istruzioni del navigatore per verificare se sia possibile deviare dal percorso prestabilito senza creare traumi cibernetici e tempeste satellitari. Magari il prossimo viaggio lo faccio con Tasos il greco, non capirò nulla delle sue indicazioni, ma potrò sognare di essere di nuovo a Creta.

L’abbiamo ripostato con i titoli di coda e i credit

Il pezzo da combattimento di Giada de Gioia ora è anche un video. Nato in versione acustica in sostegno alla lotta delle operaie dell’Omsa di Faenza delocalizzata in Serbia è diventato una gioiosa macchina da guerra rock per tutte le donne.

Venerdì sera vi aspettiamo qui

Questa mattina pensavo a come potrei spiegare ad un marziano che piovesse sulla terra, la differenza sessuale tra gli umani. Partendo dagli strumenti per la riproduzione, incontrerei le prime difficoltà nel momento in cui gli dovessi illustrare come mai la Natura ci abbia dotato di organi adeguati (più o meno), ma anche di un apparato di sensazioni, emozioni e istinti volti a stimolare il desiderio di riproduzione (altrimenti il genere umano sarebbe estinto da tempo), ma anche origine di un serie di complicanze di tipo esistenziale, psicologico, sociale e politico. Ieri il commissario alla concorrenza europeo Kroess, un donna, ha detto che se invece di Lehman Brothers fosse stata Lehman Sisters, la conduzione della banca d’affari probabilmente non sarebbe stata fallimentare. Forse è lo stesso pensiero passato nella mente degli industriali che l’anno scorso hanno nominato alla loro guida una donna, considerata indubbiamente femmina, ma con attributi sessuo-socio-imprenditoriali virili, quindi adatta a condurre una organizzazione a prevalenza maschile, anche se l’apprezzamento di una donna dotata di testicoli la dice lunga sulle fantasie sessuali degli industriali italiani e delle loro eventuali frequentazioni notturne. Tuttavia, una parte del mondo politico ritiene giusto contrastare l’eventuale insorgenza di organi estranei al femminile nelle parti sottoaddominali e vede con orrore e disgusto qualsiasi avanzata sul terreno maschile delle donne. I sistemi sono diversi: all’ONU, ad esempio, la serie di scandali sessuali – molestie, abusi, allusioni fastidiose – sono stati messi a tacere col beneplacito del segretario generale Ban Ki Moon, come denunciato da un’inchiesta del Wall Street Journal, addirittura con conseguente perdita del posto di lavoro per le vittime e impunità per i colpevoli. In altri ambiti politici, a livello nazionale, invece, si può scambiare un complimento politico (“lei ha un consenso inimmaginabile”) e una sollecitazione (“in forza di quello faccia le riforme necessarie”), come una fastidiosa invasione di campo e quindi necessitante di una risposta netta, dura, ma anche subdola e dolorosa. E visto che il complimento-sollecitazione era giunto da una donna, ecco l’elaborazione malata del messaggio sortire il “complimento” sessista, la definizione chiaramente denigratoria – “velina” – travestita da galanteria – “elegante, vaporosa, leggera” – che ottiene due effetti: il consenso maschile, segnalato dai calorosi applausi della platea e la “sistemazione” al suo posto della signora che si era permessa di alzare troppo la testa, sollecitando il maschio Alfa a darsi una mossa. E’ del tutto evidente che se il presidente degli industriali fosse stato di sesso maschile, con o senza gonadi, il riferimento velinesco non avrebbe avuto ragione di esistere. Temo che il marziano di cui sopra se ne partirebbe sconsolato e con le idee ancora più confuse.

Si legge in questi giorni che, secondo una ricerca spagnola, la bellezza avrebbe un sesso. Posti di fronte ad un’immagine oggettivamente bella, un paesaggio o un’opera d’arte, negli uomini si registra un coinvolgimento solo dell’emisfero cerebrale destro, mentre nelle donne di entrambi gli emisferi. Sottolineando che il sinistro è anche quello dell’espressione verbale, gli scienziati danno una spiegazione che riconduce addirittura alla preistoria ed ai ruoli maschili e femminili che si sono consolidati nell’evoluzione del genere umano. Le donne tenderebbero a verbalizzare le emozioni, sarebbero più semantiche. In altre parole, se gli uomini di fronte alla bellezza restano a bocca aperta, le donne non riescono mai a chiuderla.