Category: Animali


Ogni volta mi dico che dovrei ricominciare a scrivere sul blog come ho fatto per anni dal 2005 e poi trovo ogni pretesto per rimandare. Anche ora, mentre digito queste prime righe mi domando se ne valga la pena e cerco una scusa per smettere. È vero che si scrive per propria esigenza e il primo lettore è proprio l’autore, ma a questo dovrebbero seguire gli altri e non c’è alcuna garanzia. Scrivere è terapeutico, ma non sempre. Come guardarsi allo specchio: dipende dall’ora, dal momento, lo stato d’animo. Non abbiamo sempre voglia di leggere come siamo o come vorremmo essere.
Tra l’altro, il tempo in cui viviamo ci sta mettendo a dura prova: testare la nostra resistenza, l’autocontrollo, resistere alla voglia, sempre più pressante, di cancellarsi dai social, rintanarsi in un buco nero o aprire la finestra e mettersi a urlare finché ambulanza non mi separi dal consesso familiare comincia a essere uno sforzo.
Stavo giusto leggendo cosa scrivevo il 19 marzo scorso (nemmeno lo ricordavo) poco prima di andare a sbattere anch’io contro questo muro invisibile che vorrei non incontrare più. Mi è andata meglio, molto meglio, di tanti altri, ma non desidero ripetere l’esperienza, eppure sembra quasi di non avere scelta: nonostante la prudenza non sai mai se hai fatto tutto il possibile o qualcosa è sfuggita al tuo controllo.
Ma sono troppo autoreferenziale, mi sto già avvitando, succede quando manca realmente qualcosa da raccontare. È come quando lavori alla radio: non hai niente da dire, ma lo devi dire ugualmente, perché il silenzio è quasi proibito, a meno che non sia un effetto speciale.
Dovrei tornare a raccontare di Erik e Mimì, come quando narravo le avventure di Attila e Rossini con le quali ho riempito due libri. Se i due ceffi mi danno il permesso lo farò. Ormai è un anno che sono con me e i loro caratteri sono già ben delineati.
Per ora vi basti la loro immagine sufficientemente eloquente del rispettivo carattere.

Mi alzo alle 7, ma, come ogni mattina, mezz’ora prima vengo svegliato da testate, leccate in faccia, morsetti sulle orecchie e fusa assordanti da Mimì, che appena apre gli occhi vuole l’attenzione di tutto il mondo su di sé, compresa quella del suo fratellastro Erik, che, ancora assonnato, si impegna comunque in un corpo a corpo a graffi e morsi per tutto il letto fino a che non suona la sveglia. Mi vesto al buio, contendendo biancheria e abiti coi mici e, finalmente raggiungo la cucina, dove Mimì mi scala la gamba come un tiragraffi per segnalarmi che ha fame e che le scodelle sono vuote. Nutro le bestie satanasse e preparo la schiscietta per me: oggi pasta e lenticchie. Naturalmente loro divorano ogni cosa e saltano sulla credenza per mettere il muso anche nella mia roba. Li allontano in malo modo almeno cinque volte. Alla sesta sembra se ne facciano una ragione. Vado in bagno a farmi la barba e sento rumori provenire dalle altre stanze: stanno giocando – penso – e proseguo. Tornato in cucina trovo Erik che raccoglie lenticchie da terra e i resti di una penna rigata. In soggiorno Mimì lancia per aria un’altra penna cotta e la riprende al volo, ma senza mangiarla, spalmandola sul parquet. Nella schiscietta il coperchio rovesciato e una fossa nel cibo mi confermano la provenienza di lenticchie e pasta. Richiudo il coperchio, metto tutto nello zaino, esco. E anche oggi si mangia pasta e peli di gatto.

“Non riuscirei a intenerirmi così per un gatto”. Mi è stato detto ieri quando raccontavo della mia preoccupazione per gli interventi di sterilizzazione che Erik e Mimì dovevano subire. Non ho saputo cosa rispondere di civile a un’affermazione del genere. Eppure credo che sia una mentalità diffusa, almeno quanto quella secondo cui gli animali sono meglio degli uomini (e delle donne). Il modo in cui ci esprimiamo, quello che pensiamo e diciamo (non sempre le due cose coincidono e comunque spesso conviene che non lo siano) è dettato per lo più dall’esperienza personale, meno spesso da considerazioni di più ampio respiro. Mettersi nei panni degli altri, pensare che esistano sensibilità diverse dalle nostre è uno sforzo che costa troppa fatica per i tempi sbrigativi e individualistici che stiamo vivendo. Sembrare tenaci, nascondere le fragilità, respingere l’altro da noi, aggregarsi al branco dei “duri” ci fa sentire più solidi, aggrappati a un senso di appartenenza che ci impedisce di andare alla deriva, ma anche di riconoscerci negli occhi di chi non ci aspetteremmo essere simile a noi.
Con questo non voglio dire che chi non ama i gatti sia un mostro insensibile, gretto, arido, triste e tristo, destinato a una miserevole esistenza, ma chi li ama e li cura, chi dedica loro tempo e risorse, al limite dell’autolesionismo e del ricovero in psichiatria (o in ortopedia nei casi più estremi), chi si sente gatto tra i gatti e si fa riconoscere come tale, con le inevitabili eccezioni, certamente non lo è.

BlogLa mia quotidianità felina ha ormai superato il ventennio. Iniziata per caso, per far piacere a colei che ha invaso e cambiato i connotati alla mia vita da molti più anni, è diventata un tratto caratteristico della mia individualità, privata e pubblica: mi è capitato più d’una volta di sentirmi apostrofare “ah, tu sei quello dei gatti”, senza disprezzo, ma talvolta con sufficienza o compassione. Due libri di racconti sui gatti hanno lasciato un segno più profondo di trent’anni di articoli sui giornali o di parole in radio in taluni, per non dire dei tre romanzi. Non me ne dolgo, anzi, ne vado anche un po’ orgoglioso: in fondo la comunicazione passa anche da questo. Tuttavia resta la sensazione che noi appassionati di gatti si sia considerati una razza a parte, quasi una setta, the rest of us, come si usava definire chi adottava solo MAC come computer – e io tra questi – piuttosto che gli abominevoli Dos/Windows/IBM-compatibili. Ma ci torneremo un’altra volta.
L’inizio non fu semplice: Ruby Tuesday, la nostra prima dolcissima gattina, purtroppo superò appena la soglia dei tre anni prima di lasciarci. Il caso volle che la micia di mio cognato avesse appena sfornato sei cuccioli e di lì a farsi catturare da due di loro ci volle un attimo. Attila e Rossini riempirono letteralmente la nostra casa e la nostra vita. Fu anche a causa loro che iniziai a scrivere per diletto – e non solo per lavoro – nel mio primo blog What A Wonderful World. Era il 2005 quando pubblicai i primi post dedicati alle esperienze maldestre di Rossini con le piante grasse di casa e poi con i bonsai, da cui il titolo del primo volumetto di racconti e di questo blog. Quindi Attila e la sua baldanza muscolosa, mansueta e paciosa, durata, sfortunatamente, meno del previsto, anche se sono stati tredici anni meravigliosi. Ora che l’estate scorsa anche Rossini, alle soglie della maggiore età, si è fermato e ci ha salutato con la sua zampina alzata, ci è voluto un po’ per riprendersi. Ma alcuni mesi di elaborazione del lutto e un’occhiata in giro sulle pagine di qualche gattile, ci ha fatto tornare la voglia di farsi devastare la casa e l’esistenza dai veri sovranisti, padroni in casa propria e guai a chi entra non invitato o gradito. Erik e Mimì sono la nuova famiglia reale (sono ancora due principini) alla quale dovremo sottometterci, salvo ribellarci quando dispotismo, abuso e insolenza supereranno il segno. E ci siamo vicini. Continua a leggere

Ciao Ros

Ciao amici, sto usando il blog dell’umano per salutarvi. È arrivato il momento di lasciarci. In questi ultimi giorni non sono stato bene e il mio cuore affaticato mi sta suggerendo che il tempo sta per scadere. Noi gatti lo sappiamo quando è il momento di fermarci. Mi dicono che stavo diventando maggiorenne, ma non capisco bene cosa voglia dire. Se si tratta di una tappa importante della vita in cui si acquisiscono diritti e competenze, sarà vero forse per gli umani, che vanno piano e se la prendono comoda col tempo. Personalmente penso di avere vissuto abbastanza a lungo, di averne viste e, soprattutto, fatte tante. Prima con mio fratello Attila e poi da solo. L’umano mi diceva di tutto per quello che combinavo: la definizione più gentile che usava era “associazione a delinquere”. Ma so benissimo che pure lui si divertiva, tanto che ha indebitamente utilizzato la mia immagine per ben due libri. Ma l’ho perdonato, anche perché mi ha donato una certa popolarità e tanti suoi simili si sono divertiti leggendoli. È per questo che ho deciso di congedarmi da voi con queste righe. Quando le leggerete io me ne sarò già andato. Non credo che potrò farmi sentire ancora, ma non si sa mai. In ogni caso vorrei dire ai colleghi pelosi che nella casa degli umani c’è posto e i bipedi glabri non sono male: cibo, coccole, posti caldi e morbidi non mancano mai. Soprattutto, si impara presto come ottenerli sempre. Addio amici, grazie per avermi voluto bene. Anch’io ho imparato ad apprezzarvi. Prrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrr…

— Zzzzzzzzzzz…
— Prrrrrrrrrrrrrr…
— Zzzzzzzzzzz…
— Prrrrrrrrrrrrrrr…
— Zzzzzzzzzzz…
— PRRRRRRR….
— Zzzzzzzzzzz…
— Miaaaaaoooooo…
— Zzzz…kkkkhhhhhhrrrrr…..
— MIAAAAOOOOOO….
— KKKKKHHHHHHH….AAAAHHHHH….Chi è?
— Io….prrrrrrrrr…..
— Uffffff… sempre tu….cosa vuoi?
— È ora.
— È ora? Quale ora? Sono le quattro.
— È l’ora del mio compleanno
— E quindi?
— Festeggiamo! Miaaaaooooooo!
— Cosa c’è da festeggiare? Sedici anni di drammi, guai e tragedie?
— Ma cosa dici? Ho portato la luce rossa nella tua vita grigia.
— La luce rossa la intendo diversamente…
— Si sa, sei un povero umano…intendevo quella del colore del mio pelo.
— Vuoi che ti rammenti cosa mi hai portato in queste sedici eternità che tu chiami anni?
— Gioia e felicità!
—Vogliamo parlare di tutti i mobili che hai rovinato?
— Li ho decorati.
— E il vecchio divano?
— Era vecchio, appunto.
— E quello nuovo garantito anti-gatto?
— Se ti hanno imbrogliato non è colpa mia.
— E i maglioni traforati?
— Sono state le tarme.
— Sì, a quattro zampe. E la giacca appena rifoderata che ti sei mangiato?
— Aveva un brutto taglio.
— E il quadro che hai stortato?
— Così è più originale.
— E gli spaventi che ci hai fatto prendere di notte quando hai acceso la luce arrampicandoti sulla tappezzeria? O quando sei piombato sul pianoforte lasciato aperto? Oppure quando lanci i barattoli nella vasca da bagno?
— Noi gatti siamo animali notturni.
— Noi umani no, almeno, io no.
— Obiettivamente dormite troppo.
— Ma se voi gatti dormite almeno sedici ore al giorno!
— Sì, ma non tutte assieme.
— E quando mi hai vomitato nelle scarpe?
— Era uno scherzo.
— Alzarsi alle sei per andare a lavorare e trovarsi il vomito nelle scarpe non lo chiamo scherzo.
— Permaloso.
— E quando mi hai vomitato in faccia?
— Stavo male. Ti è mai capitato?
— Di vomitare in faccia a qualcuno?
— No, di stare male.
— Be’, sì.
— Lo vedi?
— E la tenda in albergo che hai bucato?
— Era già così.
— Sì certo, l’ho dovuta pagare come nuova.
— Problemi di voi umani.
— Be’, auguri e buonanotte.
— E mi lasci così? E io cosa faccio?
— Dormi anche tu se ci riesci.
— Ma io ho fame.
— Vai a caccia di topi.
— Non ce ne sono.
— E quindi? Te li devo procurare io? Sei un predatore? Preda.
— Avrei voglia di morderti un dito.
— Fallo e ti ritrovi fuori dalla finestra.
— Penso che starò qui un po’. Non mi sento tanto bene.
— Basta che taci.
— Aaaakkkkk….aaakkkkkk…aaakkkkk…
— Ma che schifoooo! Mi hai vomitato sul cuscino. E questo cos’è? Ti sei mangiato mezzo metro di scontrino della spesa. Per forza vomiti!
— Vado a dormire di là. Qui non si riesce a stare tranquilli….miaooooooo…prrrrrrrrrr…..