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Non più tardi di dieci giorni fa ho sentito un signore anziano con la “erre” arrotata a cui la Giunta sta cadendo a pezzi, ma che continua ad affermare che non è un problema suo, dire: “non abbiamo aumentato le tasse regionali in Lombardia e garantiamo gli stessi servizi ai cittadini”. Mia madre ha 94 anni, è vedova, inferma, non auto-sufficiente e necessita di cure a domicilio. Purtroppo la Regione Lombardia non garantisce più visite e prestazioni ambulatoriali a domicilio col servizio sanitario nazionale da un anno. Ciò significa che bisogna rivolgersi agli ambulatori privati convenzionati. Entro in uno di questi e dopo mezz’ora di coda, mi informano che i prelievi a domicilio li prenotano solo al telefono (???), non di persona e l’uscita costa 31€. Perbacco, penso, costa come l’uscita del tecnico della lavatrice! Mi viene da picchiare un pugno sul bancone, ma l’impiegata non ha colpa e abbozzo. Sto per tornare a casa, quando passo davanti alla sede della mia ASL di zona ed entro a chiedere delucidazioni. In effetti, mi dicono, la sanità pubblica da un anno non presta più questo servizio, ma se vuole, qui dietro l’angolo, c’è un ambulatorio privato convenzionato e può chiedere lì se le fanno un prezzo migliore. Penso: vuoi vedere che Monti sta arrivando anche qui con le liberalizzazioni e mette in concorrenza gli ambulatori? Incoraggiato, entro e l’impiegata mi dice che l’uscita costa 20 euro. Avevo ragione, viva la liberalizzazione della sanità e viva il libero mercato! Mi dice di rivolgermi ad un signore che è lì in un angolo intento a scrivere qualcosa su un blocco. Io quella faccia l’ho già vista, mi dico. Ma sì, l’ho visto mezz’ora fa nell’altro ambulatorio, quello dei 31€. Cosa ci fa qui? È lui l’incaricato dei prelievi, mi dice. Che strano, penso, due centri diversi, in concorrenza, che si affidano alla stessa persona per questo servizio. Dove sta la concorrenza? Mi chiede se va bene effettuare il prelievo il giorno dopo. Ottimo, gli rispondo, considerato che volevo prenotare anche una visita cardiologica per mia madre ed un importante centro privato convenzionato di Milano mi ha dato appuntamento al maggio del 2013! Chiedo quanto costa e mi risponde: 30€ con fattura e 20€ senza fattura. In quel momento giuro che, se non fosse stato per mia madre non avrei saputo controllare la mia reazione. Con fattura, gli rispondo e lui: Ma lei scarica? Sì, gli dico. Tutto? insiste lui. Scarico quello che posso e che la legge mi consente, gli ribatto. Già, ma io le faccio il 33% di sconto senza fattura, mi tenta. E io: 30€ con fattura.
Avete capito? Eccola la concorrenza: con fattura o in nero. Non solo la sanità pubblica in mano a questi figuri falsi e bugiardi che ci governano concede il business delle visite a domicilio ai privati a nostre spese, ma ci si mettono di mezzo anche questi pirati, questi sciacalli, che sfruttando il bisogno degli anziani invalidi e non abbienti, trovando il modo di incassare soldi in nero. Questo spregevole individuo è al servizio di chissà quanti ambulatori e chissà quanti prelievi fa ogni giorno e quanti soldi incassa senza fattura. E gli ambulatori che gli forniscono il lavoro ne saranno consapevoli? Dalla disinvoltura con cui parlava all’interno dell’ambulatorio direi di sì e, comunque, se non lo sapevano prima adesso lo sanno, perché al ritiro del referto l’ho comunicato all’impiegato che il medico (sì, è un medico dentista!) che mandano in giro a fare i prelievi a domicilio è un evasore fiscale o, come dice la pubblicità: un parassita della società. Disinfestiamo!

A questo punto mi sento di dire alcune cose: dopo quasi vent’anni di grottesca farsa mi è capitato di assistere ad un’intervista in cui un signore educato e senza il gusto della provocazione, anche se con qualche incertezza dovuta all’emozione, forse, alla poca dimestichezza, più probabilmente, ma per nulla sgradevole, poneva delle domande abbastanza precise, ma un po’ in ordine sparso, al capo del governo del Paese in cui vivo da cinquant’anni. Non dovrebbe essere un evento, cose del genere accadono in tutti i Paesi civili in cui vige una forma di governo democratico, luoghi in cui la Politica deve rendere conto ogni giorno di ciò che fa, non solo alla vigilia delle elezioni. E invece lo è, per le ragioni dette nella prima riga. Mi sembrava di essere tornato indietro di circa trent’anni, quando a capo del governo italiano c’erano personaggi dai nomi che oggi suonano quasi come bestemmie: Craxi, Andreotti, De Mita, Amato. Con tutto il livore che simili personaggi possono suscitare, costoro erano Politici, che, a domanda Politica rispondevano con parole Politiche. E alle parole Politiche facevano seguire azioni Politiche, che si potevano condividere o meno, ma erano Politica, non pagliacciate, battute, barzellette, pacche sulle spalle, corna e insulti. Erano Politica. Forse si è perso il senso di questa parola e hanno ragione coloro che tacciano il governo tecnico di essere un governo Politico, ma non per lo spregio con cui questi figuri pronunciano la parola Politica, poiché quella che sanno fare loro è politicanza. Semplicemente per il fatto che un gruppo di persone, nel momento in cui decide per il destino di 60 milioni di cittadini “fa” Politica, nel senso che prende decisioni in nome e per la Polis, per la comunità tutta, tra l’altro col consenso e l’approvazione di un’assemblea che rappresenta, almeno formalmente, il popolo italiano, cioè, il Parlamento. Ora, il signor Mario Monti, professore, funzionario europeo, prestato alla Politica, pare temporaneamente, sembra provenire da un’ altra epoca e da un altro Paese, come se una macchina del tempo o un teletrasporto lo avesse scaraventato a Palazzo Chigi assieme al suo drappello di collaboratori e ministri. È di destra o di sinistra? Non si è ancora capito e questo è un bene e un male: è un bene, nel momento in cui riesce a prendere decisioni dolorose, che, forse, rimetteranno in piedi l’Italia, senza dover accontentare un corpo elettorale che lo ha votato o appoggiato; è un male, perché non si comprende che tipo di Italia abbia in mente, quale modello di società voglia costruire. In ogni caso, se sulle macerie sociali lasciate da Berlusconi, riuscirà a ri-costruire la fiducia nella Politica da parte degli italiani, farà già un enorme miracolo, quello sì un nuovo miracolo italiano, perché impedirà, almeno per una decina d’anni, che si ripeta un ventennio come quello che abbiamo appena trascorso. Pensavamo che i nani e le ballerine fossero tramontati col craxismo e invece ce li siamo trovati al governo. Vediamo di non farlo più, anche perché i prossimi, passati i clown,  saranno i  mostri, i freaks e quelli saranno incazzati come belve.

Il paradosso di Protagora


Evatlo era un giovane che desiderava essere istruito nell’eloquenza e nell’arte di discutere le cause. Si recò da Protagora per essere istruito, impegnandosi a corrispondere, quale compenso, l’ingente somma che Protagora aveva richiesto il giorno in cui avesse discussa e vinta la prima causa davanti ai giudici. Tuttavia Evatlo, terminati gli studi, non fece l’avvocato, non vinse alcuna causa e non pagò mai Protagora, il quale lo denunciò.
Davanti ai giudici, Protagora così si espresse: “Sappi, giovane assai insensato, che in qualsiasi modo il tribunale si pronunci su ciò che chiedo, sia contro di me sia contro di te, tu dovrai pagarmi.
Infatti, se il giudice ti darà torto, tu mi dovrai la somma in base alla sentenza, perciò io sarò vittorioso; ma anche se ti verrà data ragione mi dovrai ugualmente pagare, perché avrai vinto una causa”.
Evatlo gli rispose: “Se, invece di discutere io stesso, mi avvalessi di un avvocato, mi sarebbe facile di trarmi dall’inganno pericoloso. Ma io proverò maggior piacere avendo ragione di te non soltanto nella causa, ma anche nell’argomento da te addotto. Apprendi a tua volta, dottissimo maestro, che in qualsiasi modo si pronuncino i giudici, sia contro di te sia in tuo favore, io non sarò affatto obbligato a versarti ciò che chiedi.
Infatti, se i giudici si pronunceranno in mio favore nulla ti sarà dovuto perché avrò vinto; se contro di me, nulla ti dovrò in base alla pattuizione, perché non avrò vinto.”
I giudici, allora, considerando che il giudizio in entrambi i casi era incerto e di difficile soluzione, giacché la loro decisione, in qualunque senso fosse stata presa, poteva annullarsi da se stessa, lasciarono indecisa la causa e la rinviarono a data assai lontana.

Il paradosso di Berlusconi


Un giorno gli italiani fanno un patto con Berlusconi: gli conferiscono un mandato politico affinché renda migliore l’Italia. Berlusconi assume il mandato politico, ma si dedica ad altro: si occupa dei suoi affari, organizza festini, nomina parlamentari e amministratori amici e amiche, amichetti e amichette, devasta il buon nome dell’Italia nel mondo, si diverte e diventa sempre più ricco. Allora gli italiani, stanchi di tanto malcostume, lo denunciano per avere disdetto il patto. Lui cosa fa? Prima di tutto dichiara di non essere un politico e quindi di non avere gli obblighi vecchi e stantii della politica, tuttavia, se proprio gli italiani desiderano considerarlo in quella veste, in base al potere politico che gli è stato conferito, cambia le leggi in modo da non essere condannabile. In ogni caso vincerebbe. Nomina parlamentari i suoi avvocati, in modo che lo aiutino a legiferare in suo favore e in tribunale organizza comizi autodifendendosi e definendosi cittadino “più uguale degli altri”, come i maiali della Fattoria degli Animali di Orwell. Persino i giudici rinunciano a condannarlo data l’impossibilità di fare veramente giustizia. Anche quando si avvale del suo ruolo politico – vedi caso Ruby – lo fa a suo vantaggio, adducendo ragioni di Stato e diplomatiche. Inoltre, nel momento in cui gli italiani potrebbero spogliarlo del mandato politico conferitogli, Berlusconi mette in moto la sua macchina propagandistica e convince gli elettori, molti, non tutti, che in fondo lui è l’unico che potrebbe sistemare il Paese e se non l’ha fatto finora è colpa delle cattive compagnie (Fini, Casini) e degli avversari (Comunisti!) che gliel’hanno impedito. Ecco perché un’ ampia parte di italiani ancora lo ammira per l’acume e la scaltrezza con cui sfugge alle leggi e alla giustizia. Vorrebbero essere come lui e lo votano, sperando che un po’ della sua furbizia li contagi. Peccato che la furbizia non sia come la scarlattina, altrimenti saremmo davvero un Paese migliore.

Sono orgoglioso di essere cittadino di un Paese

che indaga sul Presidente del Consiglio.

Firmato: Il Presidente del Consiglio (di Israele, Ehud Olmert)

Come sapete sto cercando per quanto possibile di portare in giro il mio libro, visto che l’ho fatto senza gambe (anche se per per qualcuno è scritto con i piedi) e non cammina da solo. Mi sto rivolgendo in particolare alle biblioteche, luogo di lettura per antonomasia (ma anche anastasia, malesia, polinesia, tiresia, persia, lipsia e poésia) e, ultimamente, pare, più frequentate di un tempo. I responsabili non sono sempre incoraggianti: sa, mi dicono alcuni, alle presentazioni non vengono in tanti, non so se vale la pena. Capisco, rispondo, ma proviamoci ugualmente, faccio propaganda io, fate propaganda voi, dieci persone riusciamo ad attirarle nella sala, poi liberiamo i doberman e chi tenta di uscire prima della fine senza comprare il libro si ritrova le zanne nel polpaccio. Va bene, mi rispondono, soprattutto quelli col gusto del macabro (per via dei doberman, non del libro, che macabro non è, tranne per pochissime pagine), ma c’è un problema. Quale? chiedo. Non possiamo comprare il suo libro per limiti burocratici. In che senso? Compriamo solo da grossista. Va be’, ve lo regalo, lo davo per scontato. In altri casi i limiti sono economici. La legge finanziaria ha tagliato ulteriormente i fondi alla cultura e questo influisce anche sulla gestione delle biblioteche comunali. Gli enti locali ricevono meno soldi dallo Stato, non hanno il coraggio di applicare nuove tasse comunali (aumentano quelle esistenti, ma di poco e silenziosa(mente), soprattutto sotto elezioni) e si ritrovano a tagliare dove è possibile, in particolare in quei settori che fanno poco rumore: le biblioteche.  A Milano, ma soprattutto in provincia, continuo a sentire il solito ritornello: abbiamo ridotto tutte le attività extra, che significa, teniamo aperto solo le ore indispensabili alla consultazione dei libri e per il prestito, poi chiudiamo il più in fretta possibile per evitare di pagare gli straordinari; anzi, abbiamo ridotto anche l’orario di apertura per pagare meno ancora luce, telefono e dipendenti. Così, il luogo di lettura per antonomasia ( e per anastasia eccetera) diventa un ufficio pubblico come tutti gli altri, dove ad un certo punto lo sportello si chiude e tanti saluti alla cultura. Ora, affiancare il mio libro alla cultura è uno sforzo che un pigro come me non se la sente di fare (hai voglia a spingere, non ci passa!), ma penso anche ad altri autori che cercano di farsi largo tra le pagine e ai potenziali lettori, che hanno voglia di frequentare un luogo piacevole e tranquillo come la biblioteca di zona, caldo d’inverno e fresco d’estate (finché funziona la climatizzazione) e ne vengono allontanati.

Mentre il nostro Presidente del Consiglio dispensa lezioni di politica ed etica internazionale in un Paese confessionale come Israele, tacciando un altro Paese confessionale, l’Iran, di essere un pericolo per l’umanità – e intanto a casa gli stanno salvando la ghirba con la legge sul Legittimo Impedimento – ecco che in Italia si sta consumando un’infamia in nome della Morale di Stato in tipico stile fondamentalista.
Ora, il festival di Sanremo è una macchina sessantenne che serve a produrre spot pubblicitari, diritti d’autore, riempire il palinsesto RAI per settimane – tra il festival vero e proprio e addentellati – a vendere qualche disco e mettere in mostra qualche personaggio, che, di solito, non  se lo merita. Dal punto di vista strettamente musicale, Sanremo vale zero, in quanto non rappresenta l’Italia che fa musica, se non per una minima percentuale. Tuttavia, Morgan è un musicista colto e preparato, che ha fatto in passato delle scelte personali, originali e difficili, certamente un personaggio sopra le righe, come molti nel mondo della musica di tutti i tempi. Le sue abitudini personali, in quanto personali, possono interessare il lettore di rotocalchi e riviste, ma anche no, nel senso che ci si può limitare ad ascoltare i suoi dischi ed infischiarsene di ciò che fa nel tempo libero. Ma si sa come sono i giornalisti, sempre a rimestare nel torbido e si sa come sono gli artisti, sempre molto egocentrici e narcisi ed ecco che saltano fuori i vizi privati, salvo poi smentire, rettificare, precisare eccetera.
Se Marco “Morgan” Castoldi fuma crack, beve candeggina, sniffa detersivo al sapone di marsiglia o si inietta in vena amuchina, che cosa cambia in funzione della sua partecipazione ad un festival musicale? Chi è quello zelante funzionario che ha firmato la sua esclusione e in base a quale articolo del regolamento del festival? Chi sarà quel savonarola catodico che ha voluto imporre la legge morale ad una kermesse di canzonette? E visto che la RAI è ente di Stato, il ministro delle Telecomunicazioni non ha niente da dire, magari da un pulpito e vestito come il Mullah Omar? Intanto, sono intervenuti già i ministri Meloni e l’ineffabile Giovanardi, giusto per ribadire la propria inutilità politica e pochezza personale. Qualcuno ha già proposto l’antidoping a tutti gli artisti che si esibiranno all’Ariston. Bene sono d’accordo, se lo estenderanno anche a funzionari e dirigenti. Pare che anche la ragazzina che chiama papi il nostro presidente del consiglio lavorerà in RAI. Non vedo l’ora di verificare in quali specialità eccella. In prima serata su RAIUNO.