Mi è finito sotto e quasi non l’ho visto. Non ho potuto evitarlo. Cosa facevo? Sterzavo? Quando sei sui binari c’è poco da fare. Vai di freno d’emergenza e speri che la distanza sia sufficiente, ma quasi mai lo è. Non lo dico per esperienza diretta, perché non mi era mai capitato prima, ma ho saputo che ad altri è accaduto e l’impatto è sempre stato inevitabile. Quando succede ti chiedi sempre quale sia la disperazione che porta una persona all’insano gesto, come lo definiscono i giornali, per evitare di chiamarlo col suo vero nome, quale prigione così tetra e profonda da non scorgere via d’uscita rinchiuda un essere umano tanto da spingerlo a spegnere tutto e sbattere la porta.
Anch’io ho vissuto momenti difficili, fin dai tempi dell’officina, ancora prima di finire sui binari della ferrovia e girare tutto il Paese a trainare vagoni carichi di merci, persone, animali. Il progresso mi tallonava e gli aggiornamenti tecnologici erano necessari, ma mi costavano fatica: nuovi orari, abitudini, ritmi, non erano facili da acquisire, ma mai ho avuto la sensazione di restare indietro, di non farcela. Sbuffavo, certo, ma tenevo botta.
Eppure questa cosa mi ha colpito. Ci dovrebbe essere un sistema, un meccanismo, un automatismo che possa evitare simili tragedie. Il progresso corre a velocità supersonica e non si è ancora riusciti a inventare un modo per impedire a qualcuno di buttarsi sotto un treno. Sì, d’accordo, il problema andrebbe risolto alla radice e si dovrebbe creare la condizione umana e sociale perché a nessuno venga in mente di farlo, ma così sconfiniamo nella fantascienza, parleremmo di un mondo ideale dove non ci sarebbe bisogno nemmeno dei treni, perché la gente si sposterebbe con la forza del pensiero o forse non avrebbe neppure bisogno di spostarsi, viaggerebbe con la mente, le merci sarebbero virtuali e io dovrei trovarmi un’altra occupazione.
Però ripensandoci, dopo la curva la linea è un po’ in discesa e la frenata è necessariamente più lunga e forse il tizio ha scelto apposta quel tratto proprio per essere sicuro di farcela a chiudere i conti a mie spese. Era deciso, determinato, fermo nel suo intento. Si, be’, fermo sui binari. In fondo avrà avuto i suoi bravi motivi per non continuare a trascinare un’esistenza insopportabile e lasciare traccia di sé sotto forma di macchia scura sulle traversine. E chi sono io per giudicarne la condotta, a parte gli schizzi che mi ha lasciato sulla lamiera? Sarò pure, come cantava quel poeta barbuto, ormai ottuagenario, “cosa viva lanciata a bomba contro l’ingiustizia”, ma ho un cuore d’acciaio rovente e di quello svaporato non me ne frega uno stantuffo. (gcanc)