rosario-ponzianoSi chiamava Rosario Ponziano, aveva 25 anni, era siciliano, si era arruolato negli alpini paracadutisti e da agosto era stato mandato in Afghanistan.
L’altra notte, durante uno spostamento, si è ribaltato col suo blindato Lince ed è rimasto ucciso. Nessuno gli ha sparato, nessuno si è lanciato contro di lui con un auto carica di esplosivo, nessuno ha mostrato ostilità nei suoi confronti, se non la sorte. Forse è per questo che non è un eroe. Per lui non ci saranno bandiere a mezz’asta, lutto nazionale, funerali di Stato, il cordoglio delle autorità civili e militari, ma soltanto il pianto dei suoi familiari e di quelli che lo conoscevano, quando il suo corpo tornerà a casa in una bara.
Come si fa per un morto sul lavoro, come si fa per un contadino che rimane schiacciato dal ribaltamento del suo trattore o un edile che precipita da un’impalcatura. In effetti era un lavoratore, Rosario Ponziano, un professionista dell’esercito, caduto in servizio. Ma non so perché c’è qualcosa che suona stonato. O era sbagliato prima, tutto ciò che è stato fatto e detto per i sei parà della Folgore attaccati a Herat o è sbagliato ciò che non è stato detto e fatto per Rosario Ponziano. È stato trattato meglio Fabrizio Quattrocchi, il cotractor italiano rapito e ucciso in Iraq nel 2003. E non vestiva neppure la divisa dell’esercito, ma quella dell’agenzia che l’aveva assunto.